Mercoledì 15 novembre di 2023 il prof. Dr. Jordi-A. Piqué, O.S.B., Preside del Pontificio Istituto Liturgico, ha partecipato alla terza giornata del Convegno «Dimensione comunitaria della santità», organizzata dal Dicastero delle Cause dei Santi, svoltosi all’aula magna del Pontificio Istituto Agustinianum (Roma).

La sua presentazione intitolata «La Gerusalemme Celeste. Liturgia comunitaria realizzata» offre una breve riflessione teologica sull'attuale modello di santità e sul suo rapporto con la Liturgia della Chiesa. La santità vista dentro l’ampia cornice della vocazione universale alla santità, promossa sia dal Concilio Vaticano II, Lumen Gentium (1964), che più recentemente da Papa Francesco con l'Esortazione Apostolica Gaudete et Exultate (2018).

La domanda posta dal prof. Piqué è stata formulata così: «la santità di oggi ci ricorda la santità di Dio e la rende evidente oggi, o vediamo questi modelli (dei santi) come esempi remoti che parlano di strani modi di vivere e non hanno un vero peso teologico per la Chiesa e il mondo di oggi? È ancora possibile una riflessione teologica sui modelli di santità che la Chiesa ci presenta oggi?».

Per cercare di rispondere alla questione il professore ha proposto un percorso di ricerca, basato nella Sacra Scrittura, la teologia dei Padri e la celebrazione della Liturgia. Lui parte dal fondamento biblico secondo il quale solo Dio è santo (cfr. Lv 19,2) e chiarisce la distinzione tra «santo» e ciò che diventa «sacro», e sostiene: «La presenza misteriosa di Dio esige uno spazio “sacro”, degli oggetti “sacri”, delle persone “consacrate” […] Questa “sacralità” comporta e garantisce la presenza “santificante” di Dio». In questo modo solo la presenza di Dio santifica. Se bene essa comporta una esigenza di coerenza e di fedeltà per parte dell’uomo, la santità rimane solo in Dio.

Nel Nuovo Testamento Gesù di Nazaret è chiamato «il santo di Dio» (Cf. Gv 6,69; Lc 1,35; Lc 4, 17-19), e perciò la santità di Dio si manifesta non più nelle teofanie degli elementi naturali (Cfr. Es 3, il roveto ardente), ma lo fa epifanicamente nel Figlio. La santità è Gesù stesso e questa santità viene riconosciuta anche in i suoi discepoli che fanno come Lui ha fatto, manifestando alcune caratteristiche speciali spiegate dallo stesso Gesù: le Beatitudini.

I Padri della Chiesa si sono occupati di questo rapporto tra santità e le Beatitudini. P. Piqué porta a collazione il «Discorso sulle beatitudini» di San Leone Magno, Papa, per illustrare in modo breve la sua teologia sulla santità: i «santi» sono quelli che hanno operato in vita le Beatitudini e che una volta superate tutte le tentazioni (Cfr. Mt 5, 3-12), riposano beatificamene nella pace di Dio, in eterno.

Questa dimensione trascendente della santità viene contemplata dalla liturgia cristiana. I modelli di santità sono chiamati dalla liturgia, come ponte tra il presente e l’eterno. Il prof. Piqué lo dimostra facendo una lettura teologica liturgica della santità del Canone Romano e dalla Preghiera Eucaristica II e III del Messale Romano, con l’obiettivo di apportare una luce sul modo in cui viene capita la santità nella liturgia.

Del Canone Romano sviluppa il significato delle citazioni nominali che fa dei santi e di altre parole o frasi chiave come «comunicantes», «et in electorum tuorum iubeas grege numerari», «in sublime altare tuum, in conspectu divinæ maiestatis tuæ», e altre. Il relatore fa pure attenzione alle preghiere eucaristiche composte dopo il Concilio Vaticano II, dove ingiustamente si dice che le allusioni ai santi sia stata tralasciata. Per rispondere a questa critica P. Piqué cita come esempio la formula del prefazio proprio della Preghiera Eucaristica II, dove appare una formula «Et ideo cum Angelis et omnibus Sanctis gloriam tuam prædicamus, una voce dicentes», frase che dopo si riprodurrà in molti prefazi come aggancio col canto del «Sanctus». Nel caso della Preghiera Eucaristica III, una chiamata al santo del giorno come elemento dell’«hodie», fa che ogni singolo giorno, abbia già un seme di eternità. Così si può comprovare che la teologia liturgica del Vaticano II allarga la prospettiva di santità e la legge in rapporto con la santità di Dio.

Dopo questa breve lettura teologica liturgica sulla santità il prof. Piqué conclude la sua presentazione domandandosi se ancora è possibile continuare a considerare la santità riguardo alle sole virtù (eroiche) perché secondo lui «una traduzione dinamica delle Beatitudini in atto: martirio, carità, testimonianza, pace, umiltà, mitezza, attenzione ai poveri, a quelli che piangono, sarebbe forse molto più d’accordo con la visione scritturistica, patristica e liturgica che la Chiesa ci propone». Termina la relazione rivolgendo l’invito a una rilettura dei testi conciliari in modo da approfondire nella dimensione teologica della santità come presenza attuante di Dio nel nostro «hodie».

 

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