0.1.1. Le Chiese orientali come oggetto di studio

John Meyendorff, nel suo libro La Teologia bizantina, nel capitolo XV dedicato a “La teologia sacramentale: il ciclo della vita” comincia la sua esposizione sui sacramenti come segue:

La teologia bizantina ignora la distinzione occidentale tra “sacramenti” e “sacramentali” e non si è mai formalmente legata ad una limitazione esatta del numero dei sacramenti. Nel periodo patristico non esisteva un termine tecnico per designare “sacramenti” come una categoria specifica di atti ecclesiali: il termine “mysterion” era usato in primo luogo nel senso più largo e generale di “mistero di salvezza” e solo in modo sussidiario per designare azioni particolari che conferiscono salvezza. […] La dottrina dei “sette sacramenti” appare per la prima volta – in modo molto tipico – nella professione di fede richiesta dall’Imperatore Michele Paleologo da Papa Clemente IV nel 1267. La professione, naturalmente, era stata preparata da teologi latini. Tra gli autori bizantini che accettano i "sette sacramenti" troviamo diversi elenchi in competizione. Il monaco Giobbe (XIII secolo), autore di una dissertazione sui sacramenti, include nella lista la tonsura monastica, come aveva fatto Teodoro lo Studita, ma unisce in un unico sacramento la penitenza e l'unzione degli infermi. Anche Simeone di Tessalonica (XV secolo) ammette il carattere sacramentale della tonsura monastica ma la classifica insieme alla penitenza considerando l'unzione come un sacramento separato. Nel frattempo, Joasafo, metropolita di Efeso, contemporaneo di Simeone, dichiara: “Credo che i sacramenti della Chiesa non siano sette ma di più”, e ne fornisce una lista di dieci che include la consacrazione della chiesa, il funerale e la tonsura monastica. Ovviamente, la Chiesa bizantina non si è mai impegnata formalmente in una lista specifica; molti autori accettano la serie standard di sette sacramenti - battesimo, confermazione, eucaristia, ordini sacri, matrimonio, penitenza e unzione degli infermi - mentre altri danno un elenco più lungo; e ancora, altri sottolineano l'importanza esclusiva e preminente del battesimo e dell'Eucaristia, la fondamentale iniziazione cristiana alla "nuova vita". Così, Gregorio Palamas proclama che "in questi due [sacramenti] tutta la nostra salvezza è radicata poiché l'intera economia dell'Uomo-Dio è ricapitolata in essi". E Nicola Cabasilas compone il suo famoso libro sulla vita in Cristo come commento al battesimo, alla cresima e all'eucaristia.

Questa citazione indica sin dall’inizio il contesto storico e culturale in cui ci moveremo durante questo corso. È interessante, infatti, che l’esposizione teologica sui sacramenti da Meyendorff comincia con une triplice negazione: “La teologia bizantina ignora…”, “…non si è mai formalmente legata…”, “Nel periodo patristico non esisteva…”

Ci troviamo qui in una posizione di confronto o di opposizione: per spiegare come è “da noi”, ci sentiamo innanzitutto obbligati a distaccarci dagli altri, a dimostrare delle differenze. Detto con altre parole, più positive: dobbiamo liberare uno spazio in cui possiamo esporre liberamente le “nostre cose”. In questo senso, la negazione serve a liberarci da categorie e concetti, utili senz’altro, ma elaborati non da noi ma da altre persone, in altre epoche, nel contesto di altre culture e, chissà, per realtà diverse.

Questa è una tematica che incontreremo durante tutto questo corso: la teologia sacramentaria ortodossa, non essendo semplicemente la continuazione in linea diretta della teologia patristica, si è formata ed è stata elaborata o in sintonia con gli sviluppi della teologia sacramentarie in Occidente, o in opposizione a questi sviluppi.

Infatti, l’idea stessa di questo corso nasce da una mentalità teologica occidentale e latina: visto che in Occidente abbiamo sviluppato una disciplina teologica intorno ai sacramenti, ci pare “logico” che anche in Oriente ci sia uno sviluppo parallelo – una vera e specifica disciplina teologica – intorno ai sacramenti. Ammesso che in Occidente come in Oriente i sacramenti sono gli stessi, godendo così di un certo carattere “universale”, un’indagine sulla teologia sacramentaria orientale ci aiuterà a “completare” la nostra visione universale sui sacramenti.

È proprio qui che si situano le tre negazioni di Meyendorff, qui che nasce l’esigenza ortodossa di distaccarsi, prima di tutto, dai concetti e dai presupposti latini ed occidentali. Poi, eventualmente, si può anche decidere di riutilizzare questi stessi concetti e termini, ma solo in secondo luogo. Infatti, hanno certamente una utilità teologica e pastorale e, forse, esprimono delle realtà che nella teologia patristica non erano ancora maturate a tal punto da poter dare delle risposte alle domande di oggi.

Tuttavia, per onestà intellettuale, prima di cominciare a studiare i sacramenti di altre Chiese e la loro teologia, dobbiamo diventare coscienti con quale mentalità ci accostiamo a essi; dobbiamo renderci conto che abbiamo e utilizziamo veramente delle categorie nostre per fare teologia e che, generalmente, sono queste categorie a guidare la nostra ricerca dentro realtà a noi sconosciute. Quanto è difficile abbandonare il proprio sistema di categorie, il proprio quadro di riferimento per realtà nuove che appaiono sotto i nostri occhi…

Quello che noi dovremmo fare per prima cosa, tuttavia, è convincerci a voler imparare dall’Oriente, a voler imparare dai cristiani dell'Oriente, nostri fratelli. Questo voler imparare, infatti, va oltre l’imparare puro, perché suppone un cambiamento di mentalità. Il cambiamento di mentalità consiste innanzitutto nel fare tacere per un momento le nostre categorie, il nostro sistema referenziale, per poter imparare categorie nuove per realtà nuove. Realtà (“sacramenti”…), forse, che non sono tanto diverse delle nostre realtà (sacramenti…), ma questo non lo possiamo presupporre sin dall’inizio. L’equivalenza tra sacramenti “ortodossi” e “latini” è una presa di coscienza di una unità realmente esistente tra le nostre Chiese a cui si accede dopo aver ascoltato e integrato.

Possiamo dire che ci sono due modi per studiare l’Oriente cristiano e le loro teologie: uno, al modo delle Crociate, consiste nell'accostarsi all’Oriente con una mentalità completamente estranea allo stesso Oriente, per recuperarlo, per “ri-unirlo” a noi; infine per rendere la nostra presupposta universalità ancora più universale. L’altro modo per studiare le Chiese orientali parte dalla presa di coscienza che stiamo per incontrare il nostro fratello, figlio degli stessi genitori. Pensavamo di poter vivere benissimo senza di lui, ma di colpo scopriamo una personalità del tutto originale e diversa dalla nostra che però non è nient'altro che l’altra metà di noi stessi. L’incontro del fratello ci convince che non conosciamo noi stessi veramente, perché non sapevamo più che l’altro, infatti, è l’altra metà di noi stessi, anche se è nella sua completa alterità. Su questo torneremo nel punto 2 di questa introduzione, quando parleremo delle Chiese orientali e le loro liturgie.

Prima di tutto vorrei indicare un problema fondamentale con il titolo stesso di questo corso: “Teologia sacramentaria delle Chiese di tradizione bizantina”. Non esiste nelle Chiese orientali la parola “sacramento”. La parola che in Oriente si usa per designare la realtà di ciò che in Occidente si chiama “sacramento” è μυστήριον (mysterion, mistero). La parola stessa ci orienta in modo totalmente diverso dalla parola “sacramento”. Naturalmente, sappiamo che i “sacramenti latini” indicano più o meno le stesse realtà dei “misteri orientali”: battesimo, cresima, eucaristia, penitenza, unzione dei malati, matrimonio, ordinazioni. Ma se la parola e, dunque, il concetto sono diversi, dobbiamo essere avvertiti per non semplicemente ridurre ai nostri concetti, al nostro quadro di riferimento, le realtà orientali che fenomenologicamente sembrano corrispondere alle nostre realtà. Questo importa, in primo luogo, quando si vuole indagare sulla tradizione teologica intorno ai sacramenti. Infatti, questa teologia si basa in principio non sui nostri concetti, sulla nostra analisi fenomenologica. Se è veramente una teologia delle Chiese orientali – ed è questo appunto ciò che vogliamo scoprire – la “teologia sacramentaria orientale” si basa sulla concezione orientale dei “sacramenti”, usando concetti orientali (dunque: mysterion) e non latini.

Non è dunque solo una questione di vocabolario (“sacramentum=mysterion”) ma una questione ermeneutica e filosofica. Una cosa interessante è che in Oriente si usa più facilmente la parola “sacramentologia” che la parola “sacramento”. Infatti, per questa ultima parola preferiranno la parola mysterion, mentre per la parola “sacramentologia” non esiste un termine parallelo chiaro. Naturalmente, esiste una riflessione teologica sui “sacramenti”, ma in principio non è separata dalla dogmatica, dove è la concretizzazione dell’opera di salvezza di Gesù Cristo per gli uomini. In una scuola teologica come l’accademia di teologia di San Pietroburgo non c’è un corso specifico sui sacramenti (mysteri). Vengono trattati sia nel corso di teologia dogmatica, sia nel corso sulla liturgia, dove vengono messi in luce gli aspetti più rituali.

Un’ultima osservazione sul titolo di questo corso riguarda la parola “bizantina”. Ne parlerò più a lungo nel secondo punto di questa introduzione. Per ora è sufficiente indicare che la scelta del mondo bizantino non significa che la altre Chiese orientali non abbiano sviluppato una teologia sacramentaria. Tuttavia, in questo campo, le Chiese di tradizione bizantina hanno lavorato molto di più delle altre Chiese. Poi, esistono tante e buone traduzioni delle opere di teologi ortodossi bizantini (greci, russi, romeni, ecc). Inoltre, molti teologi bizantini, vivendo un po' a confronto con l’Occidente, espongono i loro pensieri e la dottrina ortodossa in un modo che sembra invitare i teologi occidentali a dialogare. C’è un certo carattere di universalità nella teologia ortodossa bizantina che la rende attraente.

 

0.1. 2. L’Oriente a confronto con l’Occidente

“Oriente cristiano” è un concetto spesso usato come luogo comune, come cliché. L’Oriente cristiano sembra essere una realtà chiara che non richiede molte spiegazioni. Pensiamo di sapere dove inizia l’Oriente e cioè lì dove finisce l’Occidente. Fin dove arriva l’Oriente è un’altra questione, ma non ci preoccupa troppo.

Tuttavia, non c’è un Oriente cristiano unico: ci sono vari orienti cristiani. Nell’impero bizantino, quando Costantinopoli era la capitale dell’ecumene, pur essendo stata la capitale della parte orientale dell’impero quando Roma era capitale della parte occidentale, si sentiva il centro del mondo, da cui partiva l’Occidente, ad ovest, e l’Oriente, ad est. Oggi, però, se le Chiese bizantine hanno coscienza di essere “Chiesa orientale”, cosa devono pensare per esempio le Chiese dell’India? Infatti, dobbiamo diventare coscienti del fatto che il termine “Oriente cristiano” indica le varie Chiese orientali, cresciute in “Oriente” sin dall’epoca in cui hanno ricevuto il vangelo. Qui, il termine “Oriente cristiano” viene usato in un senso territoriale e ecclesiale. Torneremo su questo più in dettaglio nel secondo punto dell’Introduzione.

Tuttavia, c’è un Oriente cristiano che è piuttosto una realtà politica o, addirittura, ideologica. È un “Oriente cristiano” che non rispecchia tanto le varie tradizioni e la storia molto concrete dell’Oriente “reale" ma piuttosto il modo occidentale di vedere l’Oriente. Si guarda l’Oriente solo da un punto di vista, come una idea, come l’altra parte dell’Occidente, il pendant [anche in italiano si lascia il termine francese senza tradurlo] dell’Occidente. È questa una visione che si è sviluppata nel 2° millennio in Occidente, soprattutto in concomitanza con l’idea che la Santa Sede dava di se stessa come centro spirituale, giuridico e politico della Chiesa universale. È quella la visione che ha sempre cercato di “ricreare l’unità” con l’Oriente – l’“Oriente separato”. Naturalmente, considerare che l’Oriente si sia separato dall’unità già implica l’idea che l’Occidente non sia separato…

Volendo, si può paragonare la tensione storica tra Occidente e Oriente – tensione forse più sentita in occidente, che perciò ha sempre cercato di trovare delle soluzioni, accettabili almeno per lo stesso Occidente – come la tensione che spesso esiste tra fratelli gemelli. Nessuno ha così talmente condiviso il principio della vita con un’altra persona che due gemelli. E nello stesso tempo, l’antipatia fraterna tra gemelli (pensiamo a Esaù e Giacobbe), fenomeno molto frequente, può prendere delle forme proprio radicali. Tuttavia, la relazione di amore-odio non è altro cha la prova di un’attrazione mutua quasi congenita. Spesso un fratello gemello si sente più responsabile dell’altro – pensa di sentirsi più responsabile – dell’altro lato di se stesso. Però, quel sentimento fa nascere una idea dell’altro che non proviene da un vero incontro e neanche conduce ad un vero incontro. In un vero incontro “l’altro lato” – il fratello gemello – ha anche lui pienamente lo statuto di fratello, di “altro lato”: ci sono due “altri lati”. L’idea dell’altro, invece, prodotto delle nostre cogitazioni, non si basa su un incontro ma su un sentimento non necessariamente condiviso. Le soluzioni (che) proposte che provengono da questo sentimento sono forse ottime, ma non condivise. Come diceva qualcuno: il contrario del bene non è il cattivo ma il ben intenzionato…

Qui possiamo anche situare le problematiche intorno ad un altro termine, un’altra realtà creata maggiormente in e dall’Occidente, ossia “l’Oriente Cattolico”. È “l’Oriente ricuperato”, “l’Oriente ri-unito”: l’Oriente che non è più “separato” ma “ritornato”. Questa tematica sarà trattata in dettaglio nell’ultimo capitolo del corso, perché per la teologia sacramentaria ha una grande importanza. L’Oriente cattolico, nelle sue radici ecclesiologiche, è un Oriente “ideologico” e “politico” in quanto è cresciuto maggiormente, dal punto di visto ecclesiologico e teologico, in Occidente secondo una logica occidentale. Considero molto importante (di ben) distinguere bene tra queste due realtà: l’Oriente territoriale ed ecclesiale e, dall’altra parte, l’Oriente “ideologico”.

Infatti, come abbiamo visto nell’introduzione di Meyendorff quando comincia ad esporre la teologia sacramentaria, il confronto con l’Occidente è una parte costitutiva – quasi uno stimolo – per lo sviluppo di questa teologia. Da parte nostra è importante imparare a considerare l’Oriente nella sua ecclesialità autonoma, da cui noi possiamo trarre ispirazioni nuove per lo sviluppo della nostra teologia, e non solo come un grande territorio da ricuperare. Se storicamente – anche se forse non sempre felicemente – l’esistenza dell’Occidente ha provocato uno sviluppo teologico nell’Oriente, dobbiamo chiederci come questa nostra teologia, a sua volta, non potrebbe e dovrebbe arricchirsi con i frutti del pensiero teologico orientale. Questa, infatti, è una realtà che è già avvenuta durante la preparazione del Concilio Vaticano II, quando la teologia eucaristica di Nicolai Afanasiev ispirava un certo numero di teologi cattolici. Questo, però, è stato possibile solo a causa di una vera apertura mentale preliminare e di una guarigione del nostro sguardo da presupposti e pregiudizi sull’Oriente, apertura maturata durante la prima parte del XX secolo.

Come ha potuto nascere la visione ideologica occidentale sull’Oriente? Un evento storico di prima importanza è stata la caduta di Costantinopoli nelle mani dei Turchi nel 1453 e, con essa, la scomparsa dell’equilibrio che fino ad allora era di fatto esistito tra l’impero bizantino, per ridotto che fosse, e il suo storico anti-polo, Roma. Già ben prima di questa data i rapporti tra l’antica e la nuova Roma si erano deteriorati. Di certo, la firma dell’Unione di Firenze nel 1439, per quanto concerne la parte bizantina, fu senz’altro motivata in gran parte dalla minaccia dei Turchi e fu accolta male nella stessa Costantinopoli. Tuttavia testimonia ancora una certa consapevolezza dell’originaria consanguineità tra le due parti dell’antico impero. Ma con la caduta di Costantinopoli tale consapevolezza scomparve definitivamente: Costantinopoli non poteva ormai più occupare il primo posto sulla scena del mondo ortodosso bizantino; doveva condividere la medesima sorte di dominazione musulmana con i patriarcati di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme. Anche per Roma la situazione era cambiata: essa non aveva più di fronte a sé un impero greco, geloso protettore delle Chiese della ‘sua periferia’, ma «il ventaglio del mondo orientale cristiano si era allargato» sotto i suoi occhi.

Il vuoto creato dalla caduta di Costantinopoli come centro politico ed ecclesiale non era ovviamente percepito allo stesso modo da Roma e da questo «mondo orientale cristiano». Dopo le crociate l’Occidente e Roma si erano ormai costruite un Oriente sul modello della cristianità latina, senza per questo ignorare o negare la reale esistenza di uno o più Orienti cristiani non latini: ciò è testimoniato, ad esempio, dalle costituzioni IV e IX del Concilio Lateranense IV del 1215, che trattano degli adattamenti necessari alla convivenza con i cristiani di rito greco nelle terre conquistate con le crociate. Ma ora, a partire dalla visione che si era fatta dell’Oriente, Roma va a profilarsi di fatto come l’unico centro possibile e legittimo della Chiesa universale.

 

0.1.3. Sacramento e tradizione liturgica

In Russia  alcuni preti, responsabili di comunità o parrocchie giovani, fanno uno sforzo per istruire i loro fedeli nella fede in un modo più approfondito. Così faranno ogni settimana una lezione catechetica ai membri della comunità e soprattutto ai nuovi membri. La spiegazione dei sacramenti – dei mysteria – avviene solitamente durante il tempo pasquale. In ciò si ispira alla prassi dei Padri della Chiesa, come Cirillo di Gerusalemme, che facevano la “mistagogia” per i nuovi battezzati dopo la Pasqua. Infatti, i sacramenti – i mysteria – sono una parte sostanziale non solo della vita della Chiesa e dei fedeli, ma della vita liturgica della Chiesa, organizzata intorno alla Pasqua, fonte della nuova vita. Non c’è da una parte la liturgia e dall’altra i sacramenti, ma i sacramenti sono liturgia e la liturgia, in qualche modo, è totalmente sacramentaria. Non c’è, perciò, una riflessione sui sacramenti che non si fonda sulla prassi liturgica dei sacramenti. Se vogliamo sapere che cosa è il battesimo, dobbiamo andare a vedere che cosa dice la preghiera della benedizione dell’acqua battesimale. Che cosa è l’Eucaristia? Andiamo a vedere che cosa dice l’anafora.

Tuttavia, per poter capire queste preghiere non basta capire la lingua in cui sono scritte ma si deve capire il linguaggio. E questo linguaggio è il frutto di una cultura e di una storia. È un insieme di simboli, di significanti linguistici e rituali, senza cui non si può capire veramente il rito, i riti di una Chiesa.

Possiamo paragonare i modi di battezzare delle varie Chiese. Ma se vogliamo approfondire la nostra conoscenza della teologia sacramentaria di una Chiesa, non basta sapere come vengono amministrati: dobbiamo entrare nella tradizione liturgica in cui si sono sviluppati e da cui hanno ricevuto la loro forma caratteristica. In teologia siamo troppo abituati a visitare i sacramenti fuori di qualsiasi contesto liturgico. Per le liturgie orientali questo è inconcepibile.

0.2. Le Chiese orientali e le loro liturgie

In questa seconda parte dell’introduzione vorrei dare una breve presentazione delle varie Chiese orientali e delle famiglie liturgiche orientali per farci una idea più concreta del fondo territoriale, culturale e storico in cui ci muoveremo.

Ho già parlato dell’esistenza di vari Orienti cristiani: un Oriente territoriale e un Oriente ideologico/politico. Ora ci concentreremo sull’Oriente territoriale ed ecclesiale, lasciando da parte come le idee hanno creato un loro Oriente.

Nel conteste territoriale possiamo costatare subito che, anche qui, esistono più orienti. “Oriente”, nell’epoca patristica, indicava tre realtà diverse. Prima di tutto, la distinzione tra Occidente cristiano e Oriente cristiano trova il suo fondamento storico nella divisione dell’unico impero romano in parti, diocesi e prefetture, divisione fatta da Diocleziano nel 294.

 

    • La prima divisione era tra una parte occidentale e una parte orientale.
    • La parte “Occidente” consisteva di due prefetture: Italia e Gallia; la parte “Oriente” consisteva, anche essa, di due prefetture: Illyria e Oriens.
    • Le prefetture erano suddivise in diocesi. Per quanto riguarda la parte Oriente, la prefettura Illyra consisteva di due diocesi: Dacia e Macedonia. La prefettura Oriens consisteva di cinque diocesi: Tracia, Asia, Ponto, Oriens e Egitto.

 

Le prime comunità cristiane si organizzavano soprattutto nelle grande città, nei centri politici dell’impero. In Oriente, questi centri erano – oltre a Gerusalemme, distrutta nel 70 da Tito – Antiochia, capitale della diocesi di Oriente, e Alessandria, capitale della diocesi di Egitto. Come capitali politiche dell’impero e centri importanti, diventarono punto di riferimento per le altre comunità nella loro regione. Diventarono appunto “patriarcati” nel momento in cui la Chiesa si organizzava in modo più territoriale.

Mentre nel canone 6 del Concilio di Nicea (325) si parla di Roma per l’Occidente e di Antiochia e Alessandria per l’Oriente, nel I Concilio di Costantinopoli (381) si riconosce una primazia d’onore a Costantinopoli, come città imperiale, che in quel momento diventò anche il centro ecclesiastico per le tre diocesi di Tracia, Ponto e Asia. Poi, nel Concilio di Calcedonia (451), i posti d’onore tra le capitali – città patriarcali, tra cui si trovava adesso anche Gerusalemme – furono ridistribuiti e Costantinopoli passò al primo posto tra i patriarcati orientali.

Naturalmente, la Chiesa non si limitava al territorio dell’impero ma si era estesa, a partire da Antiochia, nell’impero persiano e, a partire dalla Siria, dal Ponto e dalla Cappadocia, nell’Armenia. Le circostanze storiche, soprattutto il fatto di trovarsi fuori dalle frontiere dell’impero romano, dovevano dare a queste Chiese una autonomia e una vita propria.

La situazione descritta fin qui può sembrare abbastanza pacifica ma l’apparenza inganna. Infatti, per capire l’ulteriore divisione dell’Oriente cristiano dobbiamo concentrarci sulla storia dei primi concili della Chiesa e delle lotte cristologiche. Se il fondamento dell’organizzazione delle Chiese orientali è la divisione dell’impero in parti, prefetture e diocesi, il resto è il risultato di scismi, divisioni, incomprensioni, dominazioni ecc. Soprattutto il concilio di Calcedonia (451) ha provocò una divisione interna negli antichi patriarcati di Antiochia e di Alessandria, come risulta dall’esistenza di varie Chiese parallele, ognuna con il proprio capo, spesso abitanti nella stessa città, spesso con lo stesso titolo patriarcale, ma senza essere in comunione l’una con l’altra.

Ogni comunità ha poi sviluppato le proprie caratteristiche teologiche e liturgiche a partire da una base comune – quella dei primi secoli – ma testimoniando sensibilità particolari. Per capire la teologia dei sacramenti di una di queste Chiese non si può dunque fare astrazione dalla loro storia particolare. Se c’è sicuramente una base comune nella comprensione dei sacramenti, ci sono anche delle differenze, delle particolarità, perché queste varie comunità o Chiese orientali non hanno un'unica storia comune, un unico sviluppo condiviso, ma hanno una storia e una cultura proprie. D’altronde, come ho già detto a proposito della “sacramentologia” delle Chiese bizantine, che generalmente si è sviluppata in sintonia con gli sviluppi in Occidente o in opposizione ad essi, alcune differenze di concezione teologica tra le varie Chiese orientali si devono capire come il risultato di opposizioni e di differenziazioni tra comunità diverse.

Adesso vedremo più da vicino alcune caratteristiche dei quattro patriarcati orientali e delle due regioni più importanti fuori dall’impero.

0.2.1.   La Chiesa di Alessandria

Alessandria era una città di grande cultura ellenistica, frutto della fusione di elementi egiziani, orientali, greci e giudei. Conobbe molto presto una comunità cristiana, la quale si distinse per una ricerca teologica insigne, di carattere speculativo e contemplativo, che lasciò un segno indelebile su tutto il pensiero cristiano.

Fin dal II secolo, il cristianesimo si era esteso nell'Egitto meridionale. Le numerose eparchie (diocesi) che vi esistevano erano fortemente centralizzate attorno all'antica metropoli. Dopo il 451, la crisi monofisita divise la Chiesa di Alessandria in due parti, che si costituirono progressivamente indipendenti l’una dall’altra. Questa scissione fu favorita dall’invasione musulmana che separerà l’Egitto dall’impero romano nel 642.

Le due parti della Chiesa egiziana sono le seguenti:

1.    La Chiesa “ortodossa”, leale all’imperatore di Bisanzio e pertanto chiamata “melchita”, che si allontanerà man mano dalle correnti di vita e di pensiero del mondo egiziano propriamente detto. Persevererà in una linea esclusivamente ellenica e si conformerà in tutto alla Chiesa di Costantinopoli, fino all’adozione completa del rito bizantino nel 1203. Infatti, il Concilio di Calcedonia (451) ha determinato un'influenza molto marcata da parte di Costantinopoli sugli altri patriarcati, anche se fu solo su una parte di ogni patriarcato. Dopo essere rimasta assai florida durante numerosi secoli, la comunità ellenica e per conseguenza la Chiesa ortodossa di Egitto è oggi molto ridotta, come le altre comunità straniere residenti in questo paese.

2.    La Chiesa “monofisita” o “copta”, la quale interromperà le sue relazioni con l'impero romano e svilupperà le sue antiche tradizioni in un ambiente culturale propriamente egiziano, non senza ricevere vari influssi siro-antiocheni (“giacobiti”). Si chiama Chiesa copta, vocabolo derivato dalla parola egiziano in greco. Benché questa Chiesa sia chiamata “non-calcedonese” o “monofisita”, porta il titolo di “Chiesa copta ortodossa”. Infatti, il titolo di ortodosso viene dato a tutte le Chiese orientali anche non-calcedonesi. La Chiesa d’Etiopia si trova nella sua scia immediata.

Bisogna pure ricordare che la conquista dell’Egitto da parte dell’Islam fu ultimata nel 642. Da allora i maestri dell’Egitto furono sempre musulmani. Pur senza ricorrere spesso a persecuzioni violente, mantennero i cristiani in una situazione che suscitò numerose apostasie. I Cristiani copti rimangono una minoranza importante.

 

0.2.2.  La Chiesa di Etiopia

 

La storia del regno di Axum, embrione del futuro impero etiopico, è intimamente legata a quella dei regni del sud dell’Arabia. La sua civiltà, estremamente raffinata, conserverà il suo influsso quando il centro dell’Etiopia si sarà spostato verso il sud. Perciò, il mondo etiopico non è esclusivamente africano, è ugualmente fortemente influenzato dalle culture semitiche, arabe e giudaiche.

Le prime testimonianze dell’evangelizzazione dell'Etiopia risalgono agli inizi del IV secolo e l’attribuiscono a dei viaggiatori siri. Tuttavia, il primo vescovo di Axum, Frumenzio, egli stesso di origine sira, sarà consacrato da S. Atanasio, arcivescovo di Alessandria, verso il 330. Iniziava così una lunga tradizione, la quale voleva che il capo della Chiesa etiopica, l’Abuna, fosse un Egiziano, nominato e consacrato dal patriarca di Alessandria. Fu soltanto nel 1951 che la Chiesa di Etiopia nominerà direttamente e liberamente il suo proprio capo.

Dopo Calcedonia, la Chiesa etiopica seguirà la Chiesa copta. Contemporaneamente si arricchirà di vari apporti siri. Durante numerosi secoli l’Etiopia si difenderà con vigore contro l’Islam, generalmente assai vittoriosamente. Particolarmente minacciata nel XVI secolo, si avvicinerà al mondo europeo per riceverne aiuto. Nello stesso periodo si manifesta un certo riavvicinamento verso la Chiesa romana che avrà come effetto una unione ecclesiastica che però si rivelerà effimera (1614-1632).

0.2.3.  La Chiesa di Antiochia

Antiochia è, dopo Gerusalemme, il primo centro importante dove fu annunziato il Vangelo. Fu lì che per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani. Fu da lì che il Vangelo irradiò non solo per i Giudei ma per tutti gli uomini. Quando altri centri missionari saranno creati, conserverà una particolare importanza perché era quasi la capitale del mondo orientale. L’imperatore vi risiedeva spesso, fino alla fine del IV secolo. Il suo influsso si faceva sentire fuori dalla sua propria diocesi, specialmente sulle Chiese di Costantinopoli, di Persia e d’Armenia. Questa influenza cominciò a diminuire durante il V secolo: Cipro fu riconosciuta autocefala al concilio di Efeso (431) e Gerusalemme ottenne la giurisdizione sulle tre Palestine nel concilio di Calcedonia (451).

La sua cultura antica era doppia: ellenistica in quanto metropoli dell’impero romano, siriaca a causa del suo radicamento locale.

Le dispute cristologiche lacerarono la Chiesa di Antiochia in tre rami:

1.    Dopo il concilio di Calcedonia (451) si trova una prima Chiesa, ortodossa, leale all’imperatore e pertanto chiamata “melchita”, come la sua sorella di Alessandria. Dopo la conquista musulmana, rimarrà in stretta comunione con Costantinopoli di cui adotterà progressivamente tutte le usanze anche liturgiche. Questo non significa che perse ogni contatto con le tradizioni siriane; anzi, fu per mezzo suo, congiuntamente alla Chiesa di Gerusalemme, che numerose tradizioni siriane entrarono a far parte del tesoro della Chiesa bizantina. D’altra parte, quando la liturgia bizantina sarà adottata in questo patriarcato, conoscerà varie traduzioni prima in siriaco, poi in arabo a partire del XVII secolo.

2.    Una seconda Chiesa, “monofisita” o “non-calcedonese” si chiama oggi Chiesa siro-antiochena ortodossa, o ancora “giacobita”, dal nome del vescovo Giacomo Baradai il quale, dopo il 453, assicurerà la perpetuità dell’episcopato col consacrare numerosi vescovi. Nel XVII secolo una parte della Chiesa siriaca dell’India, originariamente legata alla Chiesa persiana, si collegherà alla Chiesa di Antiochia e ne adotterà le usanze. Come ho già notato sopra, la Chiesa siro-antiochena eserciterà un influsso assai grande sulla Chiesa copta e sulla Chiesa etiopica, benché il loro rito di origine sia notevolmente diverso.

3.    La terza è la Chiesa maronita e fu creata da una secessione in seno alla Chiesa ortodossa, provocata dalla promulgazione del dogma delle due volontà nel VI Concilio ecumenico (681). Questa Chiesa di cultura siriaca si collegherà con Roma fin dall’epoca delle crociate e subirà l’influsso latino, soprattutto dopo il XV secolo.

Tutte queste Chiese antiochene furono profondamente segnate dalla dominazione musulmana subita incessantemente dal 639. A parte l’attuale Libano, dove sono in gran numero, altrove i cristiani sono soltanto una piccola minoranza, anche se questa è spesso assai attiva. 

 

0.2.4.  La Chiesa di Gerusalemme

La funzione di Gerusalemme fu grandissima agli inizi dell’espansione cristiana. Dopo lo slancio di Antiochia di tendenza ellenistica, era rimasta il centro di una cristianità fortemente radicata nelle tradizioni giudaiche. La sua distruzione nel 70 da parte di Tito la fece cadere nell’oscurità.

A partire dal 122, l’imperatore Adriano cominciò a ricostruirla sotto il nome di Aelia Capitolina. Si trattava di una modesta città greca interdetta ai Giudei. Eusebio di Cesarea ci fa sapere che il 16° vescovo della città santa era un greco chiamato Marco. Da allora questa città è rimasta greca fino ai nostri giorni, almeno nella sua gerarchia. Questo non senza suscitare problemi assai gravi perché i suoi vescovi vengono sempre dalla Grecia mentre i suoi fedeli sono in maggioranza arabi. Fin dalla sua costruzione da parte di Adriano, la città aveva diritto a degli onori speciali che furono sanciti dal 7° canone del concilio di Nicea (325), benché il suo vescovo rimanesse suffraganeo del metropolita di Cesarea, sotto la supremazia di Antiochia. La conseguenza è che le sue prime tradizioni erano siro-antiochene.

L’imperatore Costantino intraprese grandi fondazioni palestinesi le quali ridarono grande splendore alla città. Dopo il 325 riprese il suo antico nome di Gerusalemme e riprese ad esercitare una certa influenza nella storia cristiana. Nel concilio di Calcedonia (sessioni 7 e 14, 26 e 31 ottobre 451), il suo vescovo ottenne l’indipendenza di fronte ad Antiochia ed il dominio sulle tre provincie ecclesiastiche di Palestina.

Questa autonomia giuridica non distrusse i suoi legami con Antiochia, dalla cui cultura continuerà a dipendere fondamentalmente. Tuttavia, si arricchirà di numerosi altri apporti dovuti alla sua situazione privilegiata. Da una parte, il fatto di possedere i luoghi santi, legati alla memoria della vita terrena di Gesù, porterà la sua liturgia a mettere in rilievo la commemorazione degli avvenimenti della storia sacra. D’altra parte, il fatto di essere la meta di pellegrinaggio per tutti i cristiani di qualunque provenienza, la metterà in contatto immediato con le altre Chiese ed arricchirà il suo patrimonio culturale di molti altri valori stranieri.

Questo vale specialmente per la città imperiale. Costantino, mentre creava Costantinopoli, ridava vita a Gerusalemme: fin da allora le relazioni tra i due centri – l’uno politico, l’altro spirituale – furono estremamente numerose e l’arricchimento mutuo incessante. Le cerimonie liturgiche che si svolgevano nel quadro della Palestina furono rispecchiate nella capitale dell’impero. La reciprocità di influenza si manifesterà soprattutto quando la dominazione musulmana si sarà consolidata ed avrà soffocato in gran parte il dinamismo creatore del cristianesimo palestinese.

L’influenza di Bisanzio impedirà la divisione della Chiesa di Gerusalemme dopo il concilio di Calcedonia. Senz’altro essa conoscerà dei patriarchi “monofisiti”, ma essi non costituirono mai una Chiesa indipendente e la pace religiosa si ristabilirà senza danni per l’unità della Chiesa locale. Col passare dei secoli l’influenza bizantina ed ellenica si farà sempre più forte e condurrà la liturgia di Gerusalemme ad “abbandonare” il suo proprio rito e ad adottare quello di Bisanzio.

 

0.2.5.  La Chiesa di Costantinopoli

 

Nel 324 Costantino sceglie l’antica città di Bisanzio come capitale dell’impero, gli dà il proprio nome ed il titolo di Nuova Roma.

Le tradizioni cristiane dell’antica città erano quelle della provincia di Tracia, dove era suffraganea di Cesarea, e delle provincie d’Asia Minore. Dopo la sua elevazione al livello di Nuova Roma, queste tradizioni continuarono ad approfondirsi, particolarmente a contatto con la vivacissima Chiesa di Cappadocia di cui uno dei Padri, S. Gregorio Nazianzeno, doveva diventare arcivescovo di Costantinopoli. Quel patrimonio locale della nuova capitale si arricchì poi a motivo delle sue molteplici relazioni con Antiochia, l’antica metropoli dell’Oriente che rimaneva ancora uno dei luoghi privilegiati dell’impero. Questo influsso antiocheno è tale che si deve dire che la liturgia costantinopolitana ha un carattere nettamente antiocheno.

Si è cercato talvolta di parlare anche per la Chiesa di Costantinopoli di un’origine apostolica, attribuendone l’evangelizzazione all’apostolo Andrea. Si tratta di tradizioni non anteriori al VI secolo. Il vero valore di Costantinopoli non è quello di un titolo venerabile appartenente alla storia di un passato di cui non si sa granché. Costantinopoli era la capitale dell’impero ed è per questo titolo reale, come anteriormente Antiochia ed Alessandria, che ebbe una funzione essenziale nella formazione di ciò che si chiama oggi l’Ortodossia o il Cristianesimo ortodosso.

Come capitale del mondo cristiano, ebbe la funzione di regolatore e di moderatore di tutte le Chiese dell’impero. Tutte le difficoltà, tutte le innovazioni, tutte le creazioni delle varie Chiese vi ebbero le loro ripercussioni: problemi dogmatici, spirituali, liturgici e disciplinari.

Costantinopoli ha avuto una influenza molto grande su tutte le regioni della parte Orientale dell’impero. Quell’influenza raggiunse prima le terre di antica tradizione cristiana, inizialmente le provincie vicine di Tracia, del Ponte e dell’Asia, poi i patriarcati rimasti ortodossi (calcedonesi) di Alessandria, (di) Antiochia e (di) Gerusalemme. Per un tempo si estese ad una parte dell’Italia meridionale (Magna Grecia). Dopo intraprese un gigantesco sforzo che doveva condurre alla conversione dell’Europa orientale. Oggi, i patriarcati di Serbia, Bulgaria, Romania, Russia, le Chiese autocefale di Grecia, Albania, Polonia, ecc., Chiese che rappresentano la maggior parte del cristianesimo orientale, vivono di un cristianesimo elaborato e sviluppato a Bisanzio. Perciò, anche se si considerano autocefale e rifiutano al Patriarcato di Costantinopoli il diritto di intervenire nella loro vita propria, gli riconoscono però tutte, malgrado i loro nazionalismi, il diritto al loro rispetto ed alla loro riconoscenza.

0.2.6.  La Chiesa di Persia

 

Il momento più importante dell’evangelizzazione della Chiesa di Persia risale al III secolo e fu principalmente il frutto del lavoro missionario di Edessa e delle altre Chiese d’Osroene, le quali dal 216 facevano parte dell’Impero romano. Nella seconda parte di questo stesso III secolo, l’arrivo di numerosi prigionieri siri venne a rinforzare i primi nuclei cristiani e favorì lo spuntare di numerose comunità ben organizzate, anche nella capitale dell’impero persiano a Seleucia-Ctesifonte.

L’Osroene faceva parte del mondo antiocheno. Quindi, il cristianesimo predicato originariamente in Persia ebbe caratteristiche antiochene. Malgrado una situazione bellicosa quasi continua tra i due imperi romano e persiano, le relazioni tra le Chiese si mantennero molto strette durante un lungo periodo. I principali maestri cristiani di Persia si formarono prima nella scuola di Nisibi, poi in quella di Edessa. La lingua cristiana diffusa in Persia fu principalmente il siriaco come Osroene ed è perciò che la Chiesa persiana fu chiamata Chiesa sira. Si precisa dicendo Chiesa siro-orientale rispetto ad Antiochia, la quale sarà la Chiesa siro-occidentale. Per la Chiesa persiana, la Chiesa di Antiochia incarna o rappresenta tutta la Chiesa d’Occidente. La stretta comunione tra le Chiese sire orientali ed occidentali si manifestò chiaramente in occasione di un effimero riavvicinamento tra i due imperi: nel 410, nel sinodo di Seleucia-Ctesifonte, la Chiesa di Persia adottò tutto il patrimonio degli “occidentali”, sia dal punto di vista dottrinale che disciplinare.

Questa decisione del 410 doveva essere l’ultima delle grandi manifestazioni di unità tra le Chiese. Poco dopo, la situazione cominciò a deteriorarsi seriamente sotto il doppio influsso della politica persiana e della teologia “nestoriana”, la quale doveva diventare la dottrina ufficiale della Chiesa persiana. Nel 457 si apriva la nuova scuola di Nisibi all’interno dell’impero persiano, al riparo degli influssi occidentali. Prima della fine del V secolo la Chiesa persiana aveva completamente rotto le sue relazioni con le altre Chiese, cosa che ebbe come conseguenza un certo suo arcaismo ed una certa sua stagnazione in parecchi campi.

Due caratteristiche hanno segnato la Chiesa persiana. Fin dalle sue origini fu perseguitata da una religione di stato. Questa persecuzione conobbe alti e bassi, come nell’impero romano prima dell’editto di Milano. Questo non impedì ai cristiani di conoscere talvolta grandi favori, ma non cessò mai veramente e continuò fino ai nostri giorni. Inoltre, la Chiesa persiana dimostrò una grandissima attività missionaria. Come gli antichi babilonesi, i Persiani prima, poi gli Arabi nutrirono numerose relazioni commerciali con l’estremo Oriente: nelle Indie, in Cina, in Mongolia possedevano numerose fattorie. Tra i loro viaggiatori si trovavano cristiani che propagarono la loro fede e fondarono numerose Chiese. Quelle di Mongolia e di Cina erano scomparse nel XIV secolo; quella delle Indie si è conservata nella Chiesa detta Malabarese, la quale si collegò con Roma nel corso del XV secolo in occasione dei loro contatti con i missionari portoghesi.

Una parte di questa Chiesa, rifiutando di accettare certe latinizzazioni imposte alla Chiesa Malabarese, si collegò con la Chiesa “Giacobita” – siro-occidentale – di Antiochia e si chiamò Chiesa Malankarese ortodossa.

 

0.2.7.  La Chiesa armena

 

L’Armenia si trova ad est della Cappadocia, ai confini degli imperi romano e persiano. Per la sua posizione fu sempre disputata e divisa tra queste due potenze. I primi messaggeri del Vangelo gli vennero dalla Cappadocia e dall’Osroene nel corso del II secolo. Fu soltanto nel corso del III secolo che la Chiesa vi sarà organizzata in modo stabile da San Gregorio l’Illuminatore (donde il nome di Chiesa armena gregoriana, che indica gli Armeni non-uniti a Roma). San Gregorio, egli stesso di origine armena, era stato formato e consacrato vescovo a Cesarea di Cappadocia. Fu in questa città che il primate armeno riceverà la sua consacrazione fino al 347. Queste origini spiegano le caratteristiche cappadocee di parecchie sue istituzioni, soprattutto in ambito liturgico. Originariamente è dunque imparentata con la Chiesa di Cappadocia. Gli influssi siri, ricevuti particolarmente attraverso i suoi contatti con l’Osroene, moltiplicheranno queste somiglianze, numerose ancora oggi.

La storia dell’Armenia è tra le più movimentate che si possa trovare: la nazione fu sottomessa a (dei) dominatori stranieri, persiani, arabi e turchi e subì delle tirannie violente. La Chiesa, intimamente legata alla nazione, fu spesso martirizzata dai suoi tiranni non cristiani. In quelle circostanze cercò spesso l'appoggio delle altre Chiese, dei Patriarchi pre-calcedonesi di Antiochia e di Alessandria, di Costantinopoli – la sua potente vicina – e di Roma, soprattutto a partire dalle crociate.