In occasione della festa di Sant’Anselmo è stato annunciato che la tesi dottorale “Poenitentia laboriosus quidam Baptismus” della dott.ssa Silvia Angelaccio ha vinto il Premio Sant’Anselmo 2021.

La comunità accademica si congratula con la dottoressa, il cui studio verrà pubblicato all’interno della collana Studia Anselmiana dell’Ateneo.


Silvia (Sr. Aurora) Angelaccio nasce a Roma nel 1976. Nel 1999 abbraccia la vita consacrata entrando a far parte delle “Sorelle degli Apostoli”. Ha conseguito la licenza in Antropologia teologica presso l’Istituto Teologico San Pietro di Viterbo e il dottorato in Teologia dogmatico-sacramentaria al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Attualmente vive a Orvieto dove svolge diverse attività pastorali ricoprendo l’incarico di Vice Cancelliere della Curia diocesana di Orvieto-Todi.

Presentazione del lavoro (a cura del prof. Andrea Grillo, moderatore della tesi)
“Battesimo laborioso”: una storia millenaria e una sfida alla pastorale contemporanea

La dottoressa Silvia Angelaccio ha scritto una tesi di dottorato molto accurata e ben strutturata, che reca il titolo: “Poenitentia laboriosus quidam Baptismus”. Da una definizione tridentina del sacramento della penitenza alla riscoperta della pena temporale come lavoro/sofferenza. Nella sua ricerca la candidata ha scavato in una espressione poco citata, quella di “battesimo laborioso”, grazia alla quale ha portato alla luce una esperienza sacramentale e spirituale spesso rimossa. In effetti una definizione sorprendente di penitenza – offerta in termini di “lavoro”, di “sofferenza” e di “pena temporale” – ha potuto essere utilizzata, nel XVI secolo, per creare una correlazione tra protestantesimo e cattolicesimo, in una sorta di incrocio tra differenza e identità confessionale. Forse in quella definizione audace il Concilio di Trento è stato nel punto più prossimo e insieme nel punto più distante da Lutero. Punto di intreccio tra una tradizione che affianca al battesimo un altro sacramento della penitenza, e una tradizione che fa del battesimo l’unico luogo sacramentale della penitenza. Tuttavia quella espressione pescava in una lunga tradizione precedente, che si estende per più di un millennio, nella quale proprio questa correlazione tra penitenza e laboriosità era di una evidenza talmente ovvia, da non aver quasi bisogno di essere menzionata.

Voglio qui ricordare che la candidata era giunta ad affrontare il grado di dottorato del suo studio teologico provenendo da un precedente lavoro dedicato al tema del “soffrire” in teologia e ha potuto scoprire, nella espressione tridentina del laboriosus baptismus, la traccia un poco nascosta di una tradizione antica e medievale di comprensione della penitenza che il tempo moderno, successivo a Trento, aveva gradualmente emarginato e quasi totalmente perduto. In questa visione perdono e lavoro, gioia e pena, sollievo e fatica si corrispondono nel sacramento della penitenza ed anzi, proprio l’essere “faticoso” ne identifica, per Trento, la differenza essenziale dal battesimo. Questa è stata l’intuizione di fondo e la scommessa del lavoro: tornare a pensare la serietà di questa definizione e il suo possibile impatto sulla teologia contemporanea. Per farlo si è dovuto scavare nella formula tridentina, che risponde alle – e dialoga con le – posizioni di Lutero sulla penitenza, per cogliere della formula stessa tutta la profondità storica e tutta la potenza sistematica. La struttura del lavoro è perciò molto suggestiva: inizia da una accurata esposizione della comprensione della penitenza e del battesimo in Lutero e della risposta articolata istruita in più fasi dal Concilio di Trento. Da questo punto centrale si dipartono poi due linee: una verso le premesse patristiche e medievali; l’altra verso la storia degli effetti moderni e contemporanei della formula e del suo contenuto. Così, intorno alla “laboriosità” della penitenza si percorre una lunga storia, che va da Gregorio Nazianzeno a Shelley Rambo, passando per la Scolastica e per il Catechismo tridentino.

Non è azzardato constatare come mancasse uno studio completo e diacronicamente tanto ampio sul tema specifico del “battesimo laborioso”. Vi troviamo tutti i testi più rilevanti e tutti i commenti più significativi, sicuramente da Trento in poi, insieme ad una rassegna significativa sulle fonti antiche e medievali. Si tratta, come appare da queste poche note, di una ricerca esemplare, sia per la fatica certosina nel ricostruire analiticamente i singoli passi della “fortuna critica” di una espressione, sia per la rilettura contemporanea del tema del “fare penitenza”, tanto in relazione alle logiche di iniziazione, quanto rispetto al vissuto antropologico e spirituale dei soggetti implicati nella dinamica peccato/perdono. Siamo di fronte ad un contributo importante, che quando finalmente prenderà forma stampata e sarà pubblicato, potrà diventare un passaggio obbligato per tutti coloro che vorranno comprendere il senso e la portata non solo di questa espressione tridentina, ma anche di una più profonda comprensione spirituale e pastorale del fare penitenza nella Chiesa di oggi e di domani. Il lavoro onora la ricerca della giovane candidata e l’Ateneo Sant’Anselmo, nel quale Silvia Angelaccio (per vocazione sr. Aurora) ha imparato a lavorare contemporaneamente sul dato positivo della storia e sullo schema speculativo che guida e orienta la tradizione, sviluppando così una viva attenzione allo stesso tempo retro- e ante-oculata, da cui il lettore avrà modo di trarre cose antiche e cose nuove.